27 Mar L’Italia ai tempi della pasta
La storia della pasta è ancora tutta da scrivere.
Prima di cominciare, è d’obbligo distinguere la pasta fresca dalla pasta secca.
La prima è un semplice impasto di farina, acqua e uova, da consumare subito. La seconda, invece, viene
essiccata immediatamente dopo la sua fabbricazione ed è così resa conservabile nel tempo.
La pasta nasce, però, come pasta fresca: si diffonde così presso molte popolazioni del Mediterraneo e di
altre regioni del mondo, come la Cina.
La pasta secca ha invece un’origine più recente. Furono gli arabi ad inventare la tecnica dell’essicazione: in
questo modo, durante gli spostamenti nel deserto, fu per loro possibile avere a disposizione scorte di cibo.
Ma le prime testimonianze europee di produzione di pasta non provengono dalla gastronomia araba, bensì
dalla Sicilia.
Il geografo Edrisi ci parla dell’esistenza, nel XII secolo, di una vera e propria industria di pasta secca (detta
itrija) a Trabia, un paesino a pochi chilometri da Palermo. Si racconta che se ne produceva talmente tanta
che si esportava dentro delle botti in tutta la penisola (in Sicilia oggi si trovano ancora la tria bastarda e i
vermiceddi di tria; nel Salento la massa e tria e i ciceri e tria; nel barese c’è la tridde, diminutivo di tria).
Dalla Sicilia ci spostiamo quindi alla Liguria: i mercanti genovesi del XII secolo diventano il tramite di
esportazione al Nord della pasta essiccata.
Il Centro- Nord, invece, resta tradizionalmente legato all’uso domestico della pasta fresca.
Ma qual era, all’epoca, il ruolo sociale della pasta?
Non è ben chiaro. Pasta come cibo popolare, destinato a marinai o a tutti coloro che necessitavano di cibo a
lunga conservazione? Oppure pasta come cibo di lusso, cibo dei pochi?
Oppure dovremmo fare una distinzione: forse la pasta secca, con il suo carattere di conservabilità ha un
ruolo più “popolare” rispetto alla pasta fresca, deperibile, e quindi strettamente collegata all’idea di lusso e
ghiottoneria.
Fino al 1500 la pasta era vista come un prodotto di “sfizio”, assai costoso. Solo nel Seicento essa inizia ad
assumere un ruolo importante nella dieta della popolazione: a Napoli, un sovraffollamento demografico,
seguito da una crisi politica ed economica e, contemporaneamente una piccola rivoluzione tecnologica,
fece sì che l’accoppiata pasta-formaggio prendesse il posto del binomio cavolo-carne. Una soluzione
dietetica geniale, completa.
Solo nell’800 subentrerà la salsa di pomodoro, prodotto americano destinato a grande fortuna in tutto il
mondo. Ed è sul connubio “spaghetti e pomodoro”, che si è fondata l’identità culturale-gastronomica
dell’Italiano, grazie anche alle rappresentazioni che ne hanno dato nel cinema grandi attori come Alberto
Sordi e Totò.
“Maccarone, m’hai provocato e io […]me te magno!”